Entrò, una mattina d'agosto, nella Ditta Caroni e Valli ( gomma elastica, guttaperca e affini ) a far parte delle impiegate nell'ufficio di ragioneria. Si chiamava Gabriella Oldani; aveva sedici anni e un abito di tela grigia.
Veniva dalla borghesia della provincia: oscura, povera, ma non volgare. Anzi, sua madre era nobile, con un volto di finezza e di tristezza. Suo padre era morto lasciando, con lei adolescente, una sorella: Maria; due gemelli: Nino e Rino, e una pensioncina di novanta lire al mese.
La sorellina aveva la vocazione del chiostro. I gemelli avevano dei riccioli biondi e una fame da scoiattoli.
Con tre franchi al giorno, per cinque persone, la vita diviene un problema; che affatica e che non si può risolvere. Perciò il pane bruno, pei dentini insaziabili, non bastava mai; perciò la vedova Oldani, nonostante la corona sul biglietto da visita, piangeva spesso sopra un pentolino di riso troppo piccolo. E perciò Gabriella che in casa, per diminutivo, chiamavano Ninì, uccelletto maggiore della nidiata, aveva dovuto pensare al suo volo.
Non volo d'aquila, ma volo di rondine, ch'esce dal nido in cerca di un insetto, di un seme, d'una briciola; e ritorna, alla sera, sotto la grondaia. Con pochi quaderni e qualche libro a prestito, con la persona acerba nel paltoncino di lutto, aveva percorso dei rapidissimi studi commerciali e ne aveva conseguito una licenza frettolosa. Sventolando quella licenza, come una bandiera, dinanzi a tutti gli avvisi della quarta pagina, aveva ottenuto un impieguccio, finalmente. Nove ore al giorno per trenta lire mensili, decorrenti dopo quindici giorni di prova.